Concorso Premio Bovone del Rotary Club

Al Concorso soddisfacenti risultati per tre studentesse dell’Istituto: primo premio a Martina Repetto; secondo premio a Benedetta Bibbiani e ad Alessia Zunino. Grazie al Rotary, alla sig. ra Ada Bovone.

 Un’epoca, una storia ancora viva di Martina Repetto 

Era nato ad Ovada nel 1900 Domenico, o Menegû come lo chiamavano confidenzialmente gli amici, gli stessi che da ragazzini non mancavano di sottolineare il fatto di quanto fosse fortunato ad essere nato in quell’anno, perché gli risultava più facile ricordare l’età rispetto a chi era del 1899 o addirittura del 1898… Eh sì, perché all’epoca, per chi non aveva possibilità di andare a scuola, la matematica rimaneva un’opinione. Domenico è sempre stato orgoglioso della sua città, magari un po’ assonnata, ma così vivace, soprattutto nei giorni di mercato, quando, ormai in pensione, si ritrovava a chiacchierare con i suoi coetanei in piazza Assunta; dalla posizione strategica del “Caffè della Posta”, si poteva avere con un solo colpo d’occhio la visuale sulle bancarelle e sui loro ipotetici acquirenti, i quali, non venivano risparmiati dall’avere una nuova fiammante “carta d’identità” popolare. Ma impagabile per lui, era la sensazione che aveva nel guardare la parrocchia dell’Assunta, la “sua” parrocchia, che con maestosa imponenza sovrastava la piazza del mercato. Quanti ricordi di gioventù gli riportava alla mente, alcuni più dolorosi, altri più sereni… Ma tutti in qualche modo, degni di essere vissuti. Domenico fu fermamente convinto fino alla morte della realtà del detto: “Chi non è mai stato ad Ovada, non ha mai visto niente di bello” che lui ovviamente, era solito pronunciarlo in dialetto, perché diceva: “Così rendo di più l’idea”… In verità, neanche l’italiano era proprio il suo forte.                                                               Primo di cinque fratelli, Menegû, all’età di 12 anni conosceva già, suo malgrado, il significato della frase che spesso sentiva ripetere dalla mamma; “il pane ha sette croste”, perché vedendo i genitori faticare ad arrivare a fine mese, decise che come maggiore dei figli, dovesse trovare un lavoro per dare una mano in casa. Lasciò la scuola e trovò impiego in un setificio della sua città che, insieme alla viticoltura, era una delle principali fonti economiche della zona. Svolgeva le mansioni più umili, in condizioni lavorative tutt’altro che adatte alla sua età, anche perché nessun lavoro può essere adatto per un ragazzino.                                                                                                               C’era un sacerdote all’epoca, che aveva a cuore di migliorare la vita di questi ragazzi: don Salvi. E Menegû conobbe anch’egli quel prete che, sulle orme di San Giovanni Bosco, che la famiglia Salvi ebbe tra l’altro l’onore di ospitare, diede vita ad un Ricreatorio Festivo ad Ovada, che poteva vantarsi di coprire molte esigenze a favore della gioventù: doposcuola, scuola di ginnastica, distribuzione di libri, mensa scolastica, scuole autunnali e serali, proiezioni cinematografiche, teatro e per ultima, ma non ultima, la catechesi. Che bei pomeriggi aveva potuto trascorrere Domenico insieme agli altri ragazzi, assistendo alla proiezione di filmati, che venivano poi approfonditi dalle parole di don Salvi, che molte volte si rivolgeva loro parlando in dialetto, per poter arrivare più facilmente ai loro cuori… Perché in dialetto si parlava con gli amici, in famiglia… E don Salvi desiderava che questi giovani si sentissero parte di una grande famiglia. Questo sacerdote fece molto per Ovada, città che lui amava, e vedeva circondata da colline dove i versanti assolati venivano riservati alla viticoltura e nei paesi circostanti, come per esempio quello di Tagliolo Monferrato, che rimane più visibile dal centro abitato, si potevano scorgere nobili castelli. Anche Ovada seppe contraccambiare il suo affetto sotto forma di “provvidenza”, come la chiamava don Salvi, quando mancavano fondi per le sue opere o generi alimentari per la sua mensa. Sì, Domenico, ripensando ad allora, si sentiva fortunato ad essere vissuto in quel periodo di ristrettezze, perché più forte era la vicinanza gli uni degli altri, ed il “poco” che si aveva, diventava il “tanto” di tutti… E poi, aveva conosciuto don Salvi, un uomo di Dio capace di far rivivere il suo amore per la gioventù anche negli anni a venire, grazie a chi, ancor oggi, prosegue con fede e perseveranza il suo operato in questa ridente cittadina dell’Alto Monferrato.

 

 Elaborato di Benedetta Bibbiani 

Cari bambini, potreste essere stufi delle solite storie sulle principesse e sulla loro vita alla ricerca del principe azzurro.

Bene, ho deciso di raccontarvi qualcosa di vero, accaduto proprio qui nella nostra cittadina, Ovada. Avete mai sentito pronunciare la parola “scout” ? No? Allora vi chiarisco subito le idee.

Lo scoutismo è un movimento diffuso in tutto il mondo e composto da bambini e ragazzi, radunatisi per la prima volta grazie a Robert Baden Powell, un generale inglese.                                                   Pensate che oggi ci sono più di 40 milioni di scout in tutto il mondo!  Forse vi starete chiedendo cosa centra Ovada in tutto questo.

Beh, è proprio nella nostra città che gli scout esistono da quasi 100 anni, e credo sia importante parlarne, perché anche loro fanno parte della storia di Ovada, oltre che della mia vita da ormai 10 anni. Ebbene sì, anche io sono scout.

Come vi dicevo, da quasi 100 anni moltissimi giovani ovadesi prendono parte alle attività organizzate dal gruppo scout, denominato appunto Ovada1, sicuramente li avrete già visti: pantaloni al ginocchio blu ( e non importa se è inverno), camicia azzurra piena di toppe colorate ognuna con un significato specifico, calzini fino a metà gamba e soprattutto uno strano oggetto al collo; la promessa.

Ecco il vero simbolo che ci identifica dagli altri scout del mondo, la nostra promessa: un pezzo di stoffa bianco e rosso che ci viene dato al primo anno di scoutismo e quella promessa fatta la portiamo orgogliosa nel cuore per tutta la vita, perché una volta scout, per sempre scout.

Non pensiate che gli scout passino il loro tempo solo a pregare o a discutere di argomenti difficili e noiosi! Non è assolutamente così! Quando si è un po’più piccolini, le attività sono basate sui racconti del Libro della Giungla e voi bambini siete chiamati lupetti. A partire dai 12 anni le attività si fanno sempre più interessanti e si diventa Esploratori e Guide e dopo quattro anni si è pronti ad entrare nel gruppo di Rover e Scolte.

È li che mi trovo io adesso. E non potrei stare meglio. Le attività svolte sono tantissime: cene di autofinanziamento, la famosa Castagnata a novembre e le route estive in giro per l’Italia e non solo. Volete sapere dove siamo stati la scorsa estate? Ci siamo spinti fino in Polonia, a Cracovia, per partecipare alle giornata mondiale della gioventù con 2 milioni di ragazzi di tutto il mondo e, ultimo ma non per importanza, Papa Francesco. Le sensazioni provate in quei giorni non le scorderò mai, e spesso parlandone mi emoziono.

Tranquilli che in vacanza potete andare anche voi! Nel corso degli anni le cose sono cambiate: prima campeggi in tenda per tutti in località vicine a Ovada, ora i lupetti dormono in delle strutture, mentre i più grandi in tenda, ma non solo nelle vicinanze della nostra città. Un anno abbiamo addirittura preso un traghetto e piantato la nostra tenda in Sardegna!

Non sono stata incaricata di fare propaganda per convincervi ad iscrivervi a questo movimento, volevo semplicemente mettervi al corrente di una realtà ovadese che ha alle spalle tantissimi anni di storia, ma che spesso non viene raccontata. Ovada non è solo Aleramo o San Paolo della Croce, ma anche questo.                                                                                                                                                   La vita è una sola, va vissuta al meglio. Giocate, non state a guardare, non abbiate paura dell’ignoto; se la strada non c’è createla voi! E estote parati! State pronti!

 

Elaborato di Alessia Zunino   

 C’era una volta una piccola cittadina immersa nel verde delle colline piemontesi, racchiusa tra due fiumi che la abbracciavano come a proteggerla.

In una piccola e modesta casetta il 24 agosto 1834 Giacomo Marchelli e la moglie Angela Costanzo ebbero la gioia di veder nascere il loro bambino, che venne chiamato Bartolomeo.

Il bambino rimase orfano di padre in tenera età e seguì la madre che decise di trasferirsi a Genova, dove, dopo molti sacrifici, riuscì ad avviare una piccola attività commerciale.

Con sommo dispiacere della mamma, il piccolo Bartolomeo non amava molto la scuola, ma crescendo dimostrò una spiccata predisposizione per i giochi di destrezza, tanto da diventare un ottimo prestigiatore, e si dimostrò molto abile nel gioco del biliardo, ma in un modo del tutto personale e particolare, cioè col soffio: grazie a potenti polmoni riusciva a muovere le biglie senza l’uso della stecca. Questo suo modo di giocare lo rese molto noto.

Questa notorietà probabilmente lo salvò dai guai e gli cambiò la vita permettendogli di diventare un garibaldino.

Il bimbetto orfano, nato in un paesino, grazie alle indicazioni di un amico, decise di uscire dal suo guscio e di partire alla volta della Sicilia insieme a qualche migliaio di volontari.

Deciso a far parte della spedizione di Garibaldi, si recò a Genova per cercare di aggregarsi al gruppo.

Ma la partenza non fu immediata; passarono giorni e giorni prima che arrivasse l’ordine dell’adunata a Quarto.

Durante quei giorni di attesa, il ragazzo riuscì a pagarsi la camera d’albergo grazie alle sue abilità di prestigiatore e di giocatore di biliardo senza stecca.

Nel frattempo Garibaldi era già arrivato in tutta segretezza a Quarto.

La voce del suo arrivo, però, si sparse velocemente per tutta Genova e i volontari cominciarono ad arrivare numerosi.

La polizia non poteva certo ignorare l’arrivo di tutti quei giovanotti, ma non fece nulla.

Il giovane Bartolomeo si fece notare da un ufficiale garibaldino per la sua prestanza fisica e la sua gran voglia di partire per la Sicilia, arrivando al punto di “raccomandarsi come un’anima persa a mo’ degli accattoni.”

Fu così che il piccolo orfanello di paese, poi famoso giocatore di biliardo senza stecca, divenne uno dei Mille di Marsala.

Dopo svariate vicissitudini con l’esercito, Bartolomeo decise di abbandonare le armi e tornare alla sua arte di prestigiatore, esibendosi a Genova e in tutto il Monferrato, fino alla sua morte, che lo colse nella città Nervi il 16 febbraio 1903.

Questa storia ci fa capire che non è importante dove si nasce, in quale contesto o quanti ostacoli si possono trovare sulla propria strada; se si è determinati si possono fare grandi cose.

Bartolomeo, nato in un piccolo paese e rimasto orfano in tenera età, grazie alla sua curiosità, determinazione e voglia di fare, grazie all’aiuto e al sostegno degli amici, è riuscito in una grande impresa.

 

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